Ichiro Inuyashiki è un uomo di 58 anni che porta male gli anni. Non si sente realizzato e percepisce di non essere più apprezzato dalla sua famiglia: la moglie e i due figli, in particolare la figlia adolescente Mari. Dubita persino che gli vogliano ancora bene. La sua vita sembra scivolare nell’indifferenza, come se fosse un’ombra nella sua stessa casa.
Un incontro inquietante
Un giorno, tornando a casa con il figlio, vedono un uomo in pericolo contro dei malviventi. Nessuno interviene, nemmeno Ichiro, scoraggiato dall’indifferenza del figlio. Più tardi, Ichiro scopre di avere un cancro terminale e gli resta poco da vivere. La sua vera paura? Che alla sua famiglia non importi della sua morte. Teme che non piangeranno nemmeno, una paura che lo spaventa più della morte stessa.
Un incidente che cambia tutto
La sera, al parco, Ichiro viene colpito da qualcosa di extraterrestre insieme a un giovane ragazzo. Gli alieni, durante una ricognizione, distruggono accidentalmente i corpi dei due e, per evitare problemi con i superiori, li ricostruiscono con la loro avanzatissima tecnologia. Quando Ichiro si risveglia, il cancro è scomparso, ma lui non è più umano: è diventato un robot alieno con la sua mente ancora intatta.
Le nuove abilità di Ichiro
Scopre le sue nuove abilità quando difende un senzatetto da dei teppisti. Nonostante la goffaggine, Ichiro riesce a sconfiggerli grazie al suo scheletro robotico che gli permette di collegarsi alla rete, emulare funzioni informatiche e prendere controllo dei social. Pubblica online le malefatte dei teppisti, rovinando la loro reputazione. Questo evento segna l’inizio di una nuova vita per Ichiro, che decide di usare i suoi poteri per salvare persone in difficoltà. La sua tecnologia avanzata gli permette persino di captare i lamenti delle persone che chiedono aiuto e di individuarli.
Hiroshi Shishigami: il lato oscuro dei poteri
Il giovane e inquietante Hiro
Il giovane Hiroshi Shishigami, anch’esso trasformato dagli alieni, scopre i suoi poteri ma li usa in modo molto diverso da Ichiro. Hiroshi, detto Hiro, cerca di far tornare a scuola un compagno di classe bullizzato, Ando, e gli mostra cosa è in grado di fare con la sua tecnologia. Può colpire uccelli e persone a distanza semplicemente emulando il gesto di una pistola, ha il controllo informatico, e può persino prelevare dai bancomat senza avere conti, semplicemente comunicando con le altre macchine.
Può addirittura volare, guarire malattie come il cancro, sterminare plotoni di polizia e squadre d’assalto, spostare macchine o tirare giù aerei semplicemente gesticolando, un po’ come faceva Sakata -il maestro-. Insomma, Hiro è un vero e proprio dio sceso in terra.
Un gioco pericoloso
Hiroshi sembra completamente distaccato da ciò che gli sta accadendo, si comporta come nulla fosse, in fondo questo gioco gli piace, ricorda un po’ Nishi. Malgrado si chiami Hiroshi, detto Hiro, appassionato di manga come One Piece, si commuove quando li legge, non usa i suoi poteri per salvare le persone, ma al contrario per ucciderle. Hiro sceglie casualmente delle case e uccide chiunque trovi al loro interno, anche i bambini, comportandosi come un bambino che ammazza formiche.
Curioso che da una parte si commuova a vedere le gesta eroiche dei personaggi benevoli nei manga, e poi nella realtà faccia esattamente l’opposto. Uccidere è l’unica cosa che lo fa sentire vivo.
Un’opera tra manga e anime
Dal manga all’anime
“Inuyashiki” di Hiroya Oku è un manga del 2014 composto da 10 volumi, pubblicato in Italia da Panini. L’anime, prodotto da MAPPA nel 2017, adatta tutti i capitoli del manga in 11 episodi ed è disponibile su Prime Video. La regia di Shuhei Yabuta e le animazioni di Keiichi Sato, con le musiche di Yoshihiro Ike, rendono giustizia all’opera, nonostante l’uso estensivo di CGI. Le sigle poi sono belle, c’è poco da dire!
Velocità e perdita di dettagli
Tuttavia, l’anime perde alcune delle sfumature del manga a causa del ritmo veloce, che a volte fa perdere l’enfasi degli eventi. Le sensazioni trasmesse attraverso le pagine del manga, capaci di far venire la pelle d’oca, sono difficili da replicare in animazione. A questo si aggiunge la pretesa dell’anime di adattare tutti e 10 i volumi in soli 11 episodi, quasi una puntata per tankobon! Se è vero che Hiroya Oku ha uno stile molto pittoresco nel disegnare i capitoli, facendo largo uso di inquadrature, espressioni e sfondi -spesso anche reali-, permettendo quindi di trasporre molti capitoli del manga in un unico episodio dell’anime, è pure vero che l’anime rende così veloci gli eventi, che a volte ne fa perdere l’enfasi. Tal volta il senso di rush nell’anime è così forte che ci si annoia in qualche punto, cosa che a mio dire mai accade nel manga.
Tecnologia e umanità
La fantascienza realistica di Oku
Un tema ricorrente nelle opere di Oku è l’uso della tecnologia aliena che trasforma gli esseri umani in superumani. I corpi meccanici di Ichiro e Hiro sono simili alle tute nere di “Gantz”: amplificano le caratteristiche intrinseche dei personaggi. Ichiro, empatico e altruista, usa i suoi poteri per fare del bene. Hiro, invece, sociopatico sin da piccolo, li usa per uccidere.
Un aspetto che mi fa impazzire è il fatto che i corpi meccanici siano in grado di replicare e comunicare coi servizi di telefonia mobile, addirittura emulando l’interfaccia dei cellulari. Questi scheletri cibernetici alieni che i due protagonisti di Inuyashiki si ritrovano, in fondo non sono poi tanto diversi dalle tute nere dell’opera più famosa di Oku; una volta indossata la tuta nera di Gantz, i poteri dipendono dalla forza d’animo della persona, a prescindere da quali abilità avesse prima. Anche per i corpi meccanici di Inuyashiki la solfa è più o meno quella.
Malgrado i corpi, i due protagonisti esprimono la loro natura: Ichiro ha sempre voluto aiutare la gente e fare del bene, è sempre stato empatico, soffre nel profondo nel vedere le ingiustizie anche di illustri sconosciuti. Al contrario, Hiro mostrava sin da piccolo segnali di natura sociopatica; uccideva gli animali per divertimento, un giorno vide un uomo finire sotto le rotaie, questo evento lo fece ossessionare alla morte, sognava di uccidere. I loro corpi meccanici in fondo li hanno solo messi nelle condizioni di poter esprimere il loro modo di essere!
Il ruolo dei social
La critica ai social media
Un tema ricorrente nelle opere di Oku è il cinismo dei social media, dove vediamo scorrere commenti pieni di indifferenza e cattiveria scritti da persone nascoste dietro un nickname. Una delle mie parti preferite di Inuyashiki è quando Hiro, ormai conosciuto dal Giappone intero per la sua follia omicida, vede la propria vita e quella della madre scandagliata dai media. Tutto ciò che è loro viene diffuso, spogliati della propria vita e di tutte le vicende familiari, vengono letti persino gli annuari delle elementari di Hiro. Questo porta la madre di Hiro a suicidarsi per la vergogna e il dolore. Hiro legge i commenti di disprezzo contro la madre su nichannel, un famoso forum giapponese in cui è possibile postare nel totale anonimato.
I commentatori incolpano la povera madre di Hiro per ciò che lui è diventato, ridono del suo dolore ed esultano alla sua morte. Le abilità di Hiro gli permettono di individuare questi commentatori anonimi, di collegarsi ai loro dispositivi e di ucciderli a distanza. I commentatori mostrano un cinismo ed una cattiveria che in questo punto fanno quasi venire voglia di fare il tifo per Hiro.
Considerazioni finali
Problemi di adattamento
“Inuyashiki – L’ultimo eroe” non è evidentemente una serie perfetta, tuttavia quanto agli eventi finali trovo che sia proprio il punto in cui il rush dell’anime crei problemi. Mi riferisco alla parte dell’asteroide. La narrazione è così veloce che sembra che a nessuno freghi della fine del mondo. Nel manga invece c’era la giusta gradualità, e si percepiva la paura e l’angoscia. Divertente in entrambi i media la presenza dell’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che in occasione dell’armageddon, conscio ormai della fine ineluttabile, si spoglia di tutta la sua pochezza.
Il live action
Esiste anche un live action del 2018, inedito in Italia, in cui Kanata Hongo, che ha interpretato Nishi nel live action di “Gantz”, interpreta Ando. Un dettaglio interessante per gli appassionati. Kanata Hongo, che ha anche doppiato Ando nell’anime, mostra una versatilità impressionante.
Conclusione
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City Hunter e le trasmissioni su Teleregione e 7 Gold, più gli altri adattamenti live action.
La serie animata su Teleregione
City Hunter: Alla fine degli anni 90 tra il 1997 e il 1999 quando avevo 11 e 13 anni, bazzicavo spesso su “Teleregione”, un canale regionale che passava qui in Puglia. Come molte televisioni locali teleregione aveva una sorta di gemellaggio con alcune televisioni del Nord. Canali regionali che non c’erano sulle nostre frequenze qui al Sud e quindi c’erano delle fasce orarie in cui Teleregione trasmetteva ciò che andava in onda su “Italia 7”.
Italia 7 la sera verso le 20 o giù di lì trasmetteva City Hunter! Ed è di lui che parlerò in questo articolo (a proposito mi scuso per l’assenza, mi rendo che sono passati 2 mesi da quando ho fatto il riassuntone a tutta la saga di Tremos!) Tornando a City Hunter su Teleregone da Italia 7; mi bastarono pochi episodi per innamorarmi della serie e non c’era una sera che io non mi mettessi davanti alla TV per guardarlo. Storia già sentita no?
Però aspetta perché c’è un fatto! Che teleregione mandava City Hunter in onda ciclicamente.
Trasmetteva tutta la serie (che per inciso erano 114 episodi suddivisi in due serie) e appena finito, il giorno dopo ricominciava dall’episodio 1 fino di nuovo all’ultimo episodio, e poi di nuovo dall’episodio 1; ed io seguivo tutti i cicli, non c’era un episodio che io non avessi visto tre quattro volte, perché poi a volte c’erano anche le repliche al mattino, quindi c’erano anche dei periodi in cui lo guardavo la mattina prima di andare a scuola.
La mia ossessione per quest’anime
Ci sono puntate che avrò visto decine di volte! La cosa allucinante è che quando saltavano per errore un episodio (e io lo sapevo perché di solito i casi di City Hunter erano suddivisi in due parti!) o quando mandavano in onda per errore l’episodio del giorno prima (e sta cosa succedeva spesso!), non è che poi l’episodio saltato lo rimettevano il giorno dopo eh… no! Era perso! E per recuperarmelo dovevo attendere tutto il ciclo affinché loro tornassero di nuovo a trasmettere quella puntata.
Ero ossessionato da City Hunter, mi divertiva per la sua comicità mi faceva battere il cuore con quel velo sentimentale che aleggiava tra i due protagonisti, le musiche mi facevano impazzire (mi fanno impazzire ancora oggi!). Mi mettevo ogni sera davanti alla TV sintonizzato su Teleregione. Ed era un casino perché a volte la programmazione ritardava di 5-10-20 minuti, a volte saltava e io io stavo lì ad aspettare che finissero le televendite, le pubblicità di Padre Pio, le solite quattro puntate del cartoon della Warner che mandavano a ripetizione o gli episodi di “Very Strong Family” prima che si trasferisse su Telenorba.
City Hunter è stato anche il mio primo manga quello che mi ha fatto scoprire cosa sono i manga; un giorno mia cugina (che anche lei lo seguiva) si presenta con un fumetto di City Hunter comprato all’edicola, quelli della Starlight! Ce li ho ancora! Era strano si leggeva al contrario. Creta e Hunter si chiamavano Ryo e Kaori e non capivo perché.
Se devo pensare agli anime di cui mi sono innamorato City Hunter è stato certamente il primo, poi ne sono venuti altri ma ancora oggi quando mi faccio il rewatch delle serie storiche realizzate da Sunrise (è da qualche anno che non lo faccio dovrei rimediare!) oppure seguendo i recenti film d’animazione, la serie di Tsukasa Hojo (autore originale del manga) è ancora capace di farmi provare certe sensazioni e di farmi salire qualche brivido sulla schiena. Da poco su Netflix è uscito il film Live Action: sarà riuscito a farmi entrare nel Mood del vero City Hunter?
Il live action di Netflix
Diretto da Yuichi Sato e scritto da Tsuro Mishima, è una produzione Netflix e HoriPro. Il film si apre introducendo il protagonista Ryo Saeba detto City Hunter (nel doppiaggio ITA delle prime serie dell’anime faceva proprio di nome Hunter). Ryo ha una agenzia insieme a questo socio Hideyuki Makimura (nel doppiaggio ITA dell’anime era Jeff). Makimura è un ex poliziotto e i due praticamente sono dei cacciatori metropolitani.
Ryo e Makimura accettano casi particolari che di solito hanno a che vedere con gli ambienti malavitosi di Shinjuku dove sono ambientati il film e la serie e vengono assoldati attraverso le lettere XYZ scritte su una lavagnetta pubblica. Ryo è un donnaiolo da strapazzo ma sul campo di battaglia è intrepido e inarrestabile, un tiratore perfetto. Che cosa succede? Che mentre loro stanno cercando su commissione questa influencer che era scomparsa, Makimura il socio di Ryo, indaga su una droga che era stata impiegata in guerra attraverso degli esperimenti che aumentano la forza delle persone per poi causarne il decesso solo dopo poche ore.
Makimura ha questa sorella Kaori (nell’anime italiano era Creta) a cui deve rivelare che ella in realtà non è davvero sua sorella ma fu adottata dal padre di Makimura il quale era un poliziotto che l’aveva presa con sé dato che, aveva abbattuto sul campo il vero padre di Kaori, che era un criminale. Tuttavia un attimo prima che Makimura le riveli tutto, viene ucciso da uno di questi tizi che aveva per l’appunto assunto quella droga, la Angel Dust o se preferisci la polvere degli Angeli; e qui possiamo subito notare come il film riprenda la sottotrama principale del manga.
Infatti il manga è strutturato a casi ma il filo comune che lega tutta la serie è per l’appunto l’angel dust, un po’ come l’organizzazione nera in Detective Conan. Probabilmente non dirà nulla a chi ha seguito solo il cartone animato, poiché infatti l’anime all’epoca realizzato da Sunrise e trasmesso da Yomiuri TV, epurò completamente tutta la sottotrama della polvere degli Angeli. Quindi Ryo insieme a Kaori che di fatto diventa la nuova socia di City Hunter, più l’aiuto di Saeko (nel doppiaggio nostrano era Selene o talvolta Selena a seconda dell’umore degli adattatori italiani), che è una bellissima detective che spesso collabora / sfrutta Ryo Saeba!
Insomma Ryo e Kaori con l’aiuto di Saeko vanno alla ricerca di Kurumi, l’influencer, per tirarla fuori dai guai e proteggerla ma anche per trovare la connessione con l’angel dust, scoprire chi ha fatto uccidere il fratello di Kaori e vendicarlo. Questa è la trama di City Hunter di Netflix, ma facciamo un passo indietro!
I precedenti adattamenti
City Hunter (1993): Hong Kong
Il live Action di Netflix non è il primo film di City Hunter con attori in carne d’ossa. In realtà erano stati già realizzati due film e una serie TV dell’opera di Hojo dai più disparati paesi, e adesso li andremo ad analizzare un attimino.
Partiamo col primo live action realizzato in assoluto su City Hunter, si tratta di una pellicola hongkonghese del 1993 “City Hunter – Il film” per la regia di Wong Jing con protagonista Jackie Chan, che non credo abbia bisogno di presentazioni, il quale è appunto City Hunter, più Joey Wong nei panni della Socia; la Wong interpretava la co-protagonista della saga di fine anni 80 Storie di fantasmi cinesi.
Quindi City Hunter del 1993, che dire? L’ho visto due volte questo film. Una quindicina di anni fa in italiano e poi in queste settimane in originale. Della prima visione non ricordavo assolutamente nulla. L’unica cosa che ricordavo di questo film era una sensazione. Ricordavo la fatica che avevo fatto la prima volta per arrivare alla fine questo. City Hunter realizzato in Hong Kong non c’entra veramente una mazza con l’opera di Hojo. In realtà è un film di City Hunter con Jackie Chan dentro che usa il Kung Fu.
Diciamo che è difficile evidentemente entrare nelle atmosfere comiche di questo tipo di commedie di arti marziali di quell’epoca. Il film secondo me ha una costruzione che annoia sin da subito e poi diciamo a tre quarti ti spara qualche coreografia niente male (vabbè è pur sempre Jackie Chan!) e poi c’è qualche siparietto divertente, c’è anche un citazione a Street Fighter che consiglio di recuperare assolutamente su YouTube… e per il resto si arriva a fatica alla fine, e ripeto non c’entra niente.
City Hunter (2011): Corea del Sud
Nel 2011 viene trasmessa una serie live action drama di produzione sudcoreana, basata su City Hunter e diretta da Jin Hyeok! Ora hai presente quando prima ho detto che il film hongkonghese con Jackie Chan non c’entrava niente?
Ecco, no! Quello qualcosina in fondo in fondo di City Hunter ce l’aveva, un frammento dell’opera originale si poteva intravedere. Questo drama di City Hunter ha veramente solo il nome, non c’è davvero niente ma niente che si può ricollegare all’opera di Hojo se non il titolo. Nomi diversi, storia completamente diversa, acconciature e vestiari lontanissimi.
Iil protagonista della serie, interpretato da un ancora acerbissimo Lee Min ho (che sarebbe quello della serie di Apple “Pachinko -La moglie coreana”) più che Ryo Saeba ricorda Light Yagami… Aggiungici che non è un Don Giovanni, non fa i casi, non ha la socia gelosa, niente, questo drama coreano è un semplice mix d’azione.
Qualitativamente è così così, si fa guardare, simpatico, arrivati a metà ci si può anche appassionare (anche se ahimè ha un finale affrettato e a tratti inconcludente!), ma davvero questa serie TV coreana non c’entra niente. Un tizio lo potrebbe guardare e mai ricollegarlo a City Hunter (se non per il fatto che venga citato “city hunter”).
Cuty Hunter et le parfum de Cupidon (2019): Francia
Il secondo film realizzato su City Hunter non è asiatico ma francese scritto e diretto da Philippe Lacheau e intitolato “Nicky Larson e le parfume de cupidon” “Nicky Larson?” ti starai chiedendo. Sì sì, si chiama Nicky Larson perché in Francia City Hunter fu re-intitolato così, quindi Ryo Saeba è diventato Nicky Larson (già l’Italia non era assolutamente l’unico paese che occidentalizzava i nomi!).
E com’è questo live action francese? ….niente male! Philippe Lacheau che tra le altre cose interpreta proprio Ryo Saba, cioè Nicky Larson, dimostra di conoscere molto bene l’opera di Hojo e confeziona una commedia d’azione indubbiamente divertente con anche buone tecniche di regia.
Certo i costumi quelli di Ryo e Falcon sono un po’ una carnevalata, ma il tutto è molto in salsa City Hunter; Umibozu o Falcon è identico… però, non lo so, io non lo sento qui City Hunter!
Cioè mi spiego è fedele, lo spirito bene o male è quello, diciamo che prende di più la parte demenziale di City Hunter anche se non manca qualche elemento drammatico un po’ forzato. E ribadisco che si vede che Lacheau conosce la serie, credo ne fosse un grande fan e ha fatto un lavoro divertente, tra l’altro ci sono anche dei suoni presi dall’anime e addirittura alcune OST dell’anime storico.
C’è addirittura una delle canzoni, perché City Hunter aveva un reparto di song che si sentivano spessissimo durante le scene d’azione. Una più bella dell’altra!E qui si sente footsteps una delle famose e più belle. Quindi, per me è promosso! Mettamente migliore di quello realizzato in Hong Kong, però non posso dire di aver provato le sensazioni dell’opera originale, e perché dico questo? Perché la versione di Netflix diretta da Sato invece ci è riuscita!
L’incarnazione di Netflix
Perché ha preso il cuore dell’anime e manga e lo ha portato sul piano fisico ma senza renderlo troppo posticcio e riuscendo a ricreare tutti quegli elementi che costituiscono generalmente la natura degli episodi di City Hunter riuscendo a creare quelle medesime atmosfere. Faccio un esempio; di solito il canovaccio dell’opera originale è Ryo e Kaori che vengono assunti per proteggere una donna da qualche malintenzionato.
Di solito questa donna ha una vita privata da condurre, spesso ha un lavoro particolare. E cosa succedeva nel manga e nell’anime? Che Ryo e Kaori entravano nella vita della protetta e questo era molto interessante perché dava vita a situazioni estremamente divertenti e sempre diverse da ogni episodio.
Qui nel live action succede: Ryo e Kaori trovano Kurumi la ragazza che dovevano cercare e proteggere, lei fa l’influencer, infatti è una famosa cosplayer e deve partecipare a questo evento di cosplay, e si creano queste situazioni in perfetto stile City Hunter. Io ho davvero sentito l’opera di Hojo, qui tra l’altro oltre ad esserci delle gag che fanno sbellicare tipo quella degli otaku (cercando di non entrare troppo nel dettaglio per non fare spoiler…) hanno pure usato l’escamotage dell’evento cosplay per inserire elementi che nel film sarebbero risultati improponibili (se si ha la pretesa di portare la storia su un piano un minimo realistico!).
Ma adesso passiamo al lavoro più convincente del film. Parlo ovviamente della scrittura e della messa in scena del personaggio di Ryo interpretato da Ryohei Suzuki che ha fatto un lavoro mostruoso. Lui è sempre stato un grande fan di City Hunter. Sognava di interpretarlo. La mia insegnante di giapponese su Italki con cui ho avuto delle piacevoli discussioni sul film (e che mi ha fatto anche scoprire la versione francese) mi ha mandato delle interessanti interviste fatte a Suzuki dove si percepisce la passione con cui ha fatto questo ruolo ma anche di come conoscesse bene l’opera di Hojo.
Innanzitutto mi piace che abbiano fatto un compromesso fra la fedeltà al manga/anime con il riadattamento per la riduzione cinematografica, quindi se da una parte vengono ripresi paro paro degli elementi quali la Mini Minor (o Mini Cooper) di Ryo, dall’altra le sue vesti vengono un po’ riadattate (benché comunque il vestiario di City Hunter non sia nulla di trascendentale).
Ryohei Suzuki come Ryo Saeba
Però io non ho percepito l’effetto carnevale come nella versione francese. Il Ryo Saeba di Ryohei Suzuki ha proprio quelle caratteristiche che aveva nell’anime e sono messe in scena in maniera funzionale. Tipo Ryo è un personaggio che passa dalla totale imbecillità, ad una serietà di ghiaccio con uno schiocco di dita o viceversa. Nel live Action c’è stata una scena che è quella della Mokkori Dance (chi l’ha visto sa di cosa sto parlando!) che m’ha fatto spaccare dal ridere! Perché è una scena seria che col cambio di sequenza passa all’idiozia in perfetto stile City Hunter e funziona, non si sente l’effetto kitch.
Ma è proprio l’equilibrio tra serietà e comicità che non tradisce le aspettative. il lato di Ryo di uomo forte invincibile anche se non lo è si sente. Nel film hanno messo l’accento esattamente dove andava messo, chi guarda il film senza aver mai seguito l’opera originale tutte queste cose le percepirà.
Ed è esattamente così che dovrebbe essere un live action tratto da un’opera animata o cartacea, non deve essere una roba adatta solo all’appassionato ma deve essere anche per chi non l’ha mai seguito, e non è tanto il discorso trito e ritrito che si sente tra appassionati, ovvero che poi il fruitore si avvicinerà anche al manga e anime.
Sì questa è una buona cosa, però il fruitore deve potersi immedesimare nel film senza aver bisogno di aver mai seguito l’opera originale o di aver bisogno di andarsela a recuperare, ho già fatto questo discorso in un mio video registrato per Youtube intitolato “Dragon Ball e One Piece non si possono fare in live Action: Sarà vero?” in cui vista l’imminente uscita del live Action di One Piece si discuteva se fosse possibile realizzare live Action tratti da manga e anime; la risposta ovviamente è ed è sempre stata Sì.
Tornando a City Hunter di Netflix tutta la costruzione del film riflette in pieno la struttura dei casi di City Hunter; c’è ad esempio una scena dove Ryo va nell’armeria con Kaori e poi si scatena contro la banda nemica usando armi e munizioni a profusione. Anche questo fatto che lui passi da piano A, Piano B, piano C, mi sono sentito immerso in quel mondo ma senza avere la percezione di stare a guardare una sfilata di cosplayer.
Elementi ricorrenti dell’opera originale
Poi c’è anche un altro elemento ricorrente di Ryo nel manga e anime, ossia che quando qualcuno dei suoi viene rapito (di solito Laori o la protetta di turno) lui in realtà sa già dove è stata portata, perché le ha in precedenza attaccato di nascosto un GPS, oppure il fatto che lui abbia numerosi informatori malavitosi di shinjuku che lo conoscono e sanno che non gli devono rompere le scatole! Gli autori sono stati bravi anche a creare il legame tra Ryo e Kaori; c’è stata una sequenza drammatica con i vetri che ricorda molto una scena della serie mi ha proprio dato sensazioni assai simili.
Sato ha discretamente diretto la pellicola e ha egregiamente diretto gli attori e poi ottima la sceneggiatura di Mishima. Il personaggio di Kaori (interpretato da Misato Morita) mi ha convinto pure. Certo non si vede quella Kaori proprio incazzosa dell’anime (anche lei c’è in una di queste interviste con Suzuki, è davvero tenera!)
Quanto a Saeko, forse ecco è quello meno riuscito. Perché… io credo per una questione di tempo, ma forse addirittura anche per una questione di politically correct, non lo so, allora…
Saeko nel film diciamo che non combatte, sta un po’ dietro le linee gialle, e mi è venuto da ridere perché; le hanno dato la posa uguale uguale a quella del manga!! Ma il fatto è che ce l’ha sempre, addirittura cammina con la posa.
Quindi è un personaggio che rimane in disparte, anche perché è stato quasi eliminato il fattore sfruttamento. Spiego, Saeko è una bellissima donna, e secondo me qui non è stato messo l’accento sulla sua sensualità (fermo comunque restato che il film non deve per forza essere fedele al 100%), e comunque Saeko sfrutta la sua bellezza per far fare a Ryo tutto quello che lei vuole, tant’è che lei nell’anime deve a Ryo un sacco di favori sessuali, diciamo pagamenti in natura. Nel film c’è un accenno a questo, perché lo si può leggere dal cellulare di Ryo che Saeko ha questo debito con lui.
Però la cosa si chiude lì, non viene spiegata, e secondo me chi non ha seguito la serie non potrà arrivarci. Quindi insomma un personaggio che al momento sembra incompleto. Diciamo che questo forse è l’unico difetto che ho riscontrato, ma non perché non sia fedele, ma semplicemente perché penso che sia un personaggio che possa dare molto di più.
Politically Correct?
A me è venuto il dubbio; non è che non hanno voluto approfondire la cosa per questioni di politicamente corretto? Perché comunque è una donna che sfrutta il suo corpo per ottenere ciò che vuole. In realtà Saeko nel manga/anime al di là di questo, è anche descritta come un eccellente detective, spaccaculi sul campo di battaglia. Chissà magari nel secondo film mi daranno più soddisfazioni.
E parlando di politically correct arriviamo anche al nostro Hunter. Ryo infatti nell’anime e manga mette letteralmente le mani addosso palpandole a tradimento alle clienti, che di solito sono bellissime ragaze, ma anche a tizie che ferma per strada. Ovviamente sono gag giapponesi figlie del tempo, che di solito terminavano con lui che si beccava un calcio lì dove non batte il sole o una martellata in testa (un po’ come il maestro Muten, o Genio delle tartarughe, di Dragon Ball!). Qui però non ce n’è traccia, e sinceramente da un prodotto Neflix me lo potevo immaginare.
Un altro aspetto forse rimosso per lo stesso motivo, è il fatto che Kaori nell’opera originale venga spesso scambiata per un uomo. Lo stesso Ryo molte volte la prende in giro per questo motivo. Il dubbio che abbiano tolto questa cosa perché potrebbe ricadere nel bodyshaming, francamente mi è venuto.
Comunque in conclusione, per me il live action di City Hunter di Netflix è più che promosso, io mi sono divertito, mi sono appassionato, ho sentito City Hunter, ho provato quei brividi, e li ho riconosciuti! Consiglio di guardarlo sia a chi ha seguito la serie, sia a chi non l’ha mai seguita. Infatti è anche un aspetto che apprezzo, il fatto di poter essere apprezzato da qualunque tipo di spettatore.
Tremors è una saga cinematografica di genere monster movie ideata da Steven Seth Wilson e Brent Maddock (che poi sono quei geni di Corto Circuito!). Il primo film di Tremors riscosse un enorme successo. Ricordo le numerose repliche quando ero solo un bambino, un successo tale da convincere gli autori a produrre un botto di sequel per l’homevideo e persino una serie televisiva.
Di recente mi sono rivisto tutta la saga, recuperando anche i capitoli che non avevo mai visionato, ben 7 pellicole realizzare per questo franchise. Analizziamoli uno per uno riepilogando brevemente la trama e dando una brevissima opinione (a proposito se sei pigro a leggere puoi guardare la versione audio-visiva sul mio canale Youtube cliccando qui), quindi facciamo un bel riassunto.
Analisi di una lunga saga
Tremors (1990) di Ron Underwood
Trama: In una valle desertica del Nevada spuntano delle creature, tipo vermoni sotterranei, che si tirano giù qualunque essere commestibile che trovano sulla propria strada. Due operai cowboy Val ed Earl insieme agli abitanti di questa micro-cittadina tra cui Burt un tizio fissato con le armi giustamente perculato da tutti, devono salvarsi dalle creature e cercare di farle fuori.
Opinione breve: c’è così tanto da dire su questo bellissimo film di creature che non c’è molto da dire in così poco tempo se non che va visto. È invecchiato maledettamente bene, mischia orrore azione e commedia in maniera perfetta. Gli effetti visivi artigianali sono belli ancora oggi, i personaggi sono di divertenti e si fa il tifo per loro. Kevin Bacon e Fred Ward cioè Val ed Earl sono uno spasso funziona tutto.
Un film immortale Tremors! come ci sarà finito uno come Ron Underwood a dirigere delle puntate di Fear The Walking Dead? Mistero!
Tremors 2: Aftershocks (199) di Steven Wilson
Trama: Earl data la sua esperienza viene chiamato (solo lui perché Val ce lo siamo giocati!) per uccidere dei graboid in Messico che stanno facendo macello in una raffineria, affiancato da altri tizi tra cui Burt l’amante di armi interpretato da Michael Gross, e tutto fila più o meno bene finché inaspettatamente i vermoni si evolvono in delle creature più piccole ma evidentemente più pericolose, visto che si riproducono come pulci!
Opinione breve: Rivederlo a distanza di anni da adulto è stato quasi doloroso all’inizio perché la prima mezz’ora non rende assolutamente giustizia al primo Tremors. Non tanto per il downgrade registico (che è evidente!) ma più perché il film si dimentica le regole dei graboid (gli agguantatori nel doppiaggio italiano del primo film); c’è gente che cammina e cazzeggia tranquillamente sul terreno con quei cosi nelle vicinanze e non succede niente, quando nel primo film non potevano fare due passi senza essere presi.
Poi ‘sti vermoni non tirano più fuori le lingue che erano un elemento distintivo, quindi nel giro di mezz’ora questo sequel rischia di finire nella pattumiera. Poi però appena si aggiunge Burt che qui diventa più macchiettistico, e non appena arrivano fuori le nuove creature, a mio dire realizzate anche bene per essere un film nato per il circuito homevideo, Aftershocks decolla, il film appassiona e tutto sommato le nuove creature sono interessanti e sono fatte anche bene (non so perché ci sono anche delle sequenze fatte con la cgi, ma per fortuna sono solo riprese a distanza!)
Aftershocks diverte grazie ai dialoghi dei protagonisti ed è indubbiamente il film che ha reso iconico il personaggio di Burt che dopo questo diverrà il protagonista indiscusso della saga. Insomma un sequel che parte maluccio ma poi diventa modesto e degno di essere visto.
Tremors 3: Ritorno a Perfection (2001) di Brand Maddock
Trama: Si sa come vanno queste cose i terzi capitoli hanno l’abitudine di tornare alle origini (Scream 3 insegna!), e quindi si torna nella cittadina del primo film; il nostro Burt Gummer (Earl no, perché ci siamo giocati pure lui!) deve sostanzialmente tornare sul campo di battaglia per affrontare i mostri del secondo film, gli shrieker, cioè gli strillatori (credo!), che si evolvono nuovamente in delle creature alate che possono volare sparando fuoco dal culo come propulsore… e poi c’è pure un graboid Blanco… Ok!
Breve opinione: Il film cerca di giocare molto sull’effetto nostalgia, tanto che oltre a tornare nel luogo d’origine, riporta addirittura dei personaggi terziari del primo film, c’è il tipo ispanico Miguel, e Melvin il ragazzino stronzolo (messo qui a caso, ma vabbè!). Ci sono addirittura Mindy la bambina ormai cresciuta, quella che giocava in strada (che poi è la bambina informatica di Jurassic Park) e la madre di Mindy. Ok, però non è che queste due fossero proprio dei personaggi importanti, erano straterziari insignificanti, ma per fare nostalgia tutto fa brodo, no?
Il problema di fondo è che Ritorno a Perfection è al livello di una puntata mediocre di una serie televisiva di fine anni 90, registicamente brutto e con una scrittura di quart’ordine, non fa quasi mai ridere, le creature in CGI sono brutte, poi la cosa che mi fa ridere (per i motivi sbagliati) è che se nel primo film Burt Gummer era una perculazione degli yankee fissati con le armi, con gli armamenti nei depositi casomai scoppi una rivoluzione eccc.. queste cose qui insomma, nel terzo invece si fa un inno alle armi perché è giusto che la gente giri armata, e quelli che hanno interesse a preservare gli esseri viventi dall’estinzione nel film sono le merde.
Gli concedo però che le nuove creature al di là della CGI scadente non sono male e il fatto di non prendersi quasi mai sul serio.
Tremors 4: Agli inizi della leggenda (2004) di Steven Wilson
Trama: Dopo tutte queste evoluzioni hanno ben pensato di fare la cosa più logica. Tornare indietro totalmente! Nella solita cittadina di Perfection, ma un secolo prima (!), dei Proto-Graboid saltellanti, si pappano dei minatori. L’antenato di Bart che è un imprenditore e possessore di questa miniera, li deve scacciare, e per ucciderli assolda un pistolero esperto interpretato da Billy drago. Qualcuno ha appena detto “e niente fa già ridere così!”? Esatto!
Breve opinione: Devo dire che rispetto al terzo film almeno è scritto e costruito decisamente meglio, però il film dà il peggio quando ci sono le creature fatte sempre con una CGI brutta da vedere, ma poi non si capisce perché questi graboid escono fuori col muso frontalmente, sono diventati degli squali, quando il bello invece è che ti prendevano da sotto; “agguantatori” appunto. Poi c’è una scena in cui un graboid attraversa un ponte saltando o volando!
Tremors 5: Bloodlines (2015) di Don Michael Paul
La saga si concluse col quarto capitolo ma nel 2015 sono ripartiti i seguiti; Il quinto capitolo che riapre la saga viene diretto, sempre per il mercato del direct-to-video, da Don Michael Paul, un regista televisivo o di film a bassissimo costo. Ha diretto Un poliziotto all’asilo con Dolph Lundgren, seguito di Un poliziotto alle elementari con Schwarznegger (a questo punto mi aspetto anche terzo film intitolato Un poliziotto all’asilo nido con Sylvester Stallone!)
Trama: Burt che ormai fa di professione l’ammazza-vermoni, va in Sudafrica ad uccidere le creature alate del terzo film, gli Ass Blaster, in italiano i culi volanti, perché sono comparsi anche lì. Qui Burt scopre intanto che il cameraman che va con lui, Travis (interpretato da Jamie Kennedy), è suo figlio, e gli Ass Blaster ed i graboid sudafricani sono mutati e più pericolosi.
Breve opinione: Classico filmetto neanche tanto brutto e con dialoghi scemi che si dimentica il giorno dopo. La CHI nel frattempo è migliorata ovviamente ma le creature fanno cacare perché non danno più l’idea di essere degli animali sconosciuti e pericolosi, non sembrano neanche più terrestri… sembrano alieni! caruccia una scena in cui Burt riepiloga in un programma televisivo tutte le varie fasi evolutive dei graboid, ed anche non malaccia quella nella gabbia del leone.
Tremors 6: A Cold Day in Hell (2018) di Don Michael Paul.
Trama: Burt e Trevis vanno in Canada perché nei ghiacciai ci stanno i graboid e gli Ass Blaster (sì prima in Africa, ora nei ghiacciai canadesi!). Qui ci sta una tipa esperta che è la figlia di Val del primo film (siccome Bacon non voleva tornare per riprendere i panni del suo personaggio, hanno creato un parente!). Niente si scopre che Burt è stato infettato da un graboid che lo aveva inghiottito nel terzo film (sì è successo questo!) e bisogna prenderne uno vivo per curarlo.
Breve opinione: Qualitativamente è come il precedente capitolo, non così brutto ma si dimentica il giorno dopo, non c’è davvero molto altro da dire sul sesto capitolo.
Tremors 7: Shriker Island (2020) di Don Michael Paul.
Trama: Allora, deserto l’abbiamo fatto! Raffineria messicana l’abbiamo fatto! Riserva africana l’abbiamo fatto! Ghiacciaio canadese l’abbiamo fatto! Cosa possiamo fare più? Idea! Giungla della Papuasia!
Il povero Bart ormai anziano e stanco, ritirato in Papa Nuova Guinea che pare Chuck Noland di Cast Away, vive da solo perché il figlio sta in una prigione messicana (ah sì ‘sti gran cazzi!) e insomma viene convinto a cacciare per l’ultima volta le creature su un’isola piena di shrieker, più un nuovo tipo di vermone graboid mastodontico e che sa pure nuotare, che è il vero nemico del settimo e ultimo capitolo. Burt e compagnia affrontano questi Dino-Graboid e lui alla fine viene mangiato per salvare tutti; ciao ciao Burt, insegna agli angeli a non rimanere mai senza munizioni!
Breve opinione: Nota positiva (forse) è il titolo che cita gli shrieker, perché se li erano effettivamente dimenticati dopo il terzo film… Gli autori avranno detto “Sai che c’è? Facciamo un film tutto basato sugli shrieker!”. Il titolo comunque dice una bugia perché in realtà la star del film è il Dino-Graboid (quindi altro che gli shrieker protagonisti). Il settimo capitolo è… una mediocrata come i precedenti, con effetti visivi pedestri, pochi guizzi, e si dimentica presto, nonostante qualche tentativo di fare nostalgia riesumando elementi del primissimo Tremors. E così si conclude definitivamente la saga dei vermoni.
Io direi che si che si sarebbero potuti tranquillamente fermare al secondo e nessuno si sarebbe lamentato troppo!
Da agosto 2023 è presente un film a tema zombie molto divertente su Netflix. Lo zombie movie in questione è intitolato “Zombie 100 – Cento cose da fare prima di non morire”. Il film di produzione giapponese è del 2023 per la regia di Yusuke Ishida ed è tratto da un manga (quindi parliamo di un live action) da cui peraltro è stato anche trasposto un anime dal titolo omonimo, che tuttavia il sottoscritto non ha mai seguito.
Zombie Movie Commedia
Zombie 100 è uno zombie movie con toni per lo più da commedia, ma anche con un pizzico di dramma. Il film si apre con questo ragazzo, Akira Tendo interpretato da Eiji Akaso, eccitatissimo mentre si reca in azienda perché questo è il suo primo giorno di lavoro. Molto divertente il fatto che quando Akira esce di casa saluta tutte le persone che incontra augurando “Buongiorno!” ricorda quasi uno di quei tizi che hanno seguito quei training in cui ti insegnano a dire buongiorno in maniera molto energetica a chiunque incontri per riuscire a rapportarti meglio coi clienti.
Arrivato in azienda fa le conoscenze, tutto bene, sembra un sogno, gli spiegano le sue mansioni, il presidente gli presenta il direttore, i colleghi e così via. Ed è divertente che Akira fa la classica riunione di bevute con i colleghi e quando stanno per andarsene dal locale, quest’ultimo è convinto di stare per tornare a casa… ma è qui che il direttore gli dice che in realtà deve tornare in azienda e continuare a lavorare; quindi Akira si trova già al primo giorno che fa gli straordinari!
Allora comincia ad essere messo sotto venendo letteralmente schiavizzato dal direttore in questo ambiente tossico, rendendosi presto conto di trovarsi in una condizione di sfruttamento del lavoro. In Giappone si chiama Burakku kigyō (ブラック企業), essenzialmente significa compagnie nereo se preferite la traduzione anglofona Black companies. Quindi la routine del povero Akira ormai è quella di svegliarsi, andare al lavoro, tornare solo per dormire, per poi ricominciare. Non riesce neanche a pulire la sua stanza che ormai è sottosopra. In pratica ormai è uno zombie
La storia vera però parte solo adesso; Akira si sta recando al lavoro come tutti i giorni e scopre che ci sono Zombie dappertutto e quindi se la da a game, ma ovunque corre si trova non-morti davanti e da dietro e qui fa molto ridere (anche perché questa è la scena d’apertura del film), inizia a gridare “konomama jya” che significa “di questo passo” io mi aspettavo che dicesse “verrò morso o verrò ucciso” ed invece quello dirà è “kaisha ni okore shimau!” ossia “farò tardi al lavoro!”.
Sfruttamento sul lavoro
E fa morire dal ridere questo fatto che lui non sia preoccupato della sua vita, ma di fare tardi al lavoro, giusto per sottolineare quanto è sottomesso a questa vita, come se temesse di più i rimproveri del direttor, piuttosto che l’essere in pericolo di vita. Ecco a tal proposito io l’ho visto in originale (anche perché non c’è purtroppo il doppiaggio italiano) e l’ho guardato con i sottotitoli in lingua giapponese dato che studio la lingua e devo dire che il dialogato è abbastanza semplice in generale.
A proposito di questo, una curiosità; il titolo originale non è Zombie 100 – Cento cose da fare prima di non morire ma bensì Zon 100 – Cento cose che voglio fare prima di diventare Zombie(questa chiaramente è la traduzione letterale del titolo giapponese – n.d.a), una piccola differenza!
Insomma il nostro Akira Tendo si rende conto di trovarsi in un’apocalisse zombie così quindi riceve un messaggio da una sua collega. Lui ha grande ammirazione per questa collega che a lui oltretutto piaceva ma non si era mai dichiarato. Sempre questa collega, al lavoro quando parlava con Akira aveva fatto capire che le promozioni che lei riceveva non erano dovute al fatto che lei fosse speciale, ma evidentemente c’era sotto qualcos’altro e inoltre aveva fatto questa affermazione dove diceva ad Akira “a volte ci dimentichiamo cosa vogliamo fare davvero!”
Comunque Tendo tramite un SMS la individua dato che la collega gli aveva inviato la propria posizione e insomma Akira la trova con il presidente dell’azienda, con la quale la collega andava a letto… però ormai per lei è troppo tardi perché è stata infettata così Akira Tendo si dichiara, facendo quindi una cosa che avrebbe sempre voluto fare ma che non aveva mai fatto fino a quel momento!
È qui che decide di scrivere una lista di cose da fare prima di diventare zombie iniziando piano piano a fare tutto ciò che è scritto nella lista; cose semplicissime come pulire la stanza, fare un barbecue, dipingere un murales, fare campeggio e così via!
Le cose da fare prima di morire
Una delle cose che lui ha scritto nella lista è quella di trovare questo suo amico Kenzo e di scusarsi perché qualche giorno prima in un locale ci aveva litigato accusandolo di una vecchia storia; Akira e Kenzo erano giocatori di football nella stessa squadra, e questo amico Kenzo aveva sbagliato in finale un passaggio per il nostro Akira facendo perdere la partita permettendo alla squadra di guadagnare solo il secondo posto.
Kenichi detto Kenchoo è interpretato da Shuntaro Yanagi, che era uno dei tizi che stava in Alice in Borderland nonché uno degli sgherri del quarto film di Kenshin samurai vagabondo, (se non erro uno degli sgherri di Enishi). Comunque sia Akira Tendo va in soccorso anche di questo amico, e questa a grandi linee è la trama di zombie 100 (mi rendo conto di non essere bravissimo a riassumere le trame di un film XD).
Ovviamente l’apocalisse Zombie è solo un pretesto per rimuovere tutte le differenze sociali e metterci tutti sullo stesso piano poiché in un contesto del genere, il ricco ed il povero sono allo stesso livello. Insomma siamo sempre bene o male sul modello creato da George Romero con L’alba dei morti viventi, remakizzato da Zack Snyder nel 2004 (peccato che quello faccia cagare!).
Questo modello è stato usato innumerevoli volte tra cui dal notissimo The Walking Dead, strepitoso fumetto ideato da Robert kirkman da cui è stata tratta l’ancora più famosa e omonima serie televisiva, di cui una prima stagione altrettanto clamorosamente strepitosa e poi una seconda stagione di tutto rispetto ed una terza modestina… Da lì in poi un declino totale che purtroppo ha rovinato l’immagine di questa serie che era partita alla stragrande e di cui io reputo la prima stagione una delle cose più belle nel panorama delle serie televisive americane (sempre parlando della sola prima stagione!).
Tornando a Zombie 100, qui l’utilizzo dell’apocalisse zombie è ovviamente un pretesto per raccontare lo schiavismo sul lavoro ma anche di come spesso siamo così oberati dal lavoro o dalle abitudini quotidiane che scordiamo di fare ciò che vogliamo davvero fare. A volte finiamo per vivere come degli zombie e non ce ne rendiamo conto.
Ora vorrei fare una parte spoiler. Quindi se non avete visto il film e non volete rovinarvelo fermate qui la lettura dell’articolo.
SPOILER ZOMBIE 100
Allora praticamente Akira Tendo trova l’amico Kenzo in questo Love Hotel. Sostanzialmente è un albergo per intrattenere rapporti sessuali. Kenzo è in netta difficoltà perché anche la tizia con cui stava avendo un rapporto sessuale si è trasformata in zombie, ma per fortuna è legata (una prostituta parrebbe) e insomma arriva Akira e lo salva scusandosi con lui e monstrandogli la lista.
Praticamente Akira in questa lista ha anche scritto una cosa; egli vuole diventare un Super Hero cioè un supereroe per salvare tutte le persone; questa è una cosa molto giapponese, il giovane che sogna di diventare un supereroee. Allora Kenzo e Akira vanno per la città trovando delle persone, le salvano, inizialmente almeno perché alcune di queste muoiono dopo essere state infettate. Tra queste c’è una ragazza che si chiama Shizuka che aveva salvato Akira in precedenza in un supermercato. Questa ragazza vorrebbe rimanere sola perché secondo lei è meglio che ognuno vada per sé, però Akira e Kenzo riescono a coinvolgerla nel loro viaggio in cui praticamente fanno le cose che vorrebbero fare prima di morire, quindi anche Kenzo più questa ragazza, Shizuka, si prestano al gioco andando alle terme, facendo paracadutismo e tante altre cose.
Anche Shizuka inizia non solo a cambiare idea sul fatto di stare da sola ma anche lei scopre il piacere di fare cose che non aveva mai fatto prima e che avrebbe sempre voluto fare.
Così il viaggio continua; Akira aveva scritto sulla lista che praticamente per diventare un supereroe aveva bisogno di una muta per gli squali, cioè anti morso di squali, e quindi si dirigono in questo acquario, quando arrivano lì però trovano il direttore della società di Akira che praticamente grazie alla struttura dell’acquario è riuscito a creare una sorta di centro per rifugiati di zombie, in cui sfrutta come forza lavoro i rifugiati e sfrutta gli zombie come protezione dagli sciacalli.
È paradossale perché in questa situazione Akira si ritrova nella stessa situazione di quando lavorava sotto le dipendenze di questo direttore, costretto ad un lavoro massacrante e ad uno sfruttamento totale. Infatti questo direttore continua a sfruttare le altre persone, questa situazione fa ridere ma allo stesso tempo è anche avvilente, anche perché il personaggio del direttore è proprio un tizio detestabile, messo in scena veramente bene.
Quindi Akira si ritrova a lavorare sotto il direttore perché in fondo pensa che così almeno sono al sicuro però i due amici Kenzo e Shizuka Finalmente lo fanno rinsavire portandogli la lista per fargli capire che è meglio vivere rischiando di morire piuttosto che vivere da zombie.
Lo Squalo-Zombie
Quando Akira è finalmente rinsavito, ecco che entrano gli zombie nell’acquario e quindi la situazione degenera, allora Akira si mette in moto per salvare tutti, ma che cosa succede quindi? Dagli acquari esce uno squalo-zombie che fuoriesce dall’acqua, lì per lì, lo squalo sembrerebbe innocuo perché sulla terraferma non potrebbe fare niente. Se non fosse che questo squalo Zombie ha mangiato delle persone che sono diventate zombie nel suo corpo e dal ventre dello squalo iniziano ad uscire le gambe di questi altri zombie che gli sfondano il ventre e quindi gli creano de factp delle gambe.
Questo squalo Zombie può camminare; gli effetti visivi non sono perfetti però sono accettabili soprattutto in un contesto del genere, allora l’amico di Akira, Kenzo, gli dice che ogni supereroe ha bisogno del suo costume e gli dà la muta quella anti-squali, la stessa che lui voleva prendere. Quindi inizia ad affrontare lo squalo e gli zombie lo mordono, ma lui oltre a sentire il dolore dei morsi non si infetta perché è protetto dalla tuta.
Insomma alla fine insieme al suo Team, che sono i suoi amici, riescono con un’azione combinata ad uccidere lo squalo, qui peraltro si ripropone la storia del passaggio dell’amico di Akira che appunto aveva sbagliato questo passaggio perché aveva tentennato troppo. Stavolta accade la stessa cosa perché devono uccidere lo squalo con questo affare elettrico che insomma deve essere passato ad Akira che c’ha la muta (e che quindi non può subire scosse elettriche!) e che lui dovrà trasmettere allo squalo Zombie. Quindi Kenzo deve fargli questo passaggio e questa volta non tentenna e gliela passa.
Akira salva anche il direttore nonostante sia la persona peggiore del mondo e che continua ad essere una m***a. Insomma Il film si conclude con Akira che vuole fare per lavoro il supereroe. Sono aspetti della cultura giapponese che ricordano anche seria recenti come My Hero Accademy o One punch Man. In conclusione non è un filmone Sicuramente, ma è molto carino, divertente ed interessante proprio per le sue tematiche. Quindi questo era Zombie 100 – Cento cose da fare prima di non morire.
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Dwaejiui Wang internazionalmente conosciuto con il titolo inglese The King of Pigs ossia il re dei maiali, è una serie della Corea del Sud, o K-Drama del 2022 che mi è stata consigliata da un membro del mio gruppo Facebook “La Taverna degli amanti di anime manga cinema e serie TV” (a proposito se non sei ancora iscritto fallo subito).
K-Drama Live Action
Questa serie coreana composta di 12 episodi e autoconclusiva, diretta da Kim Dae-jin, prodotta da Studio Dragon e Hidden Sequence per la piattaforma di streaming coreana Tving.
Il drama di cui parlo in questo articolo è in realtà un live action di un film d’animazione coreano del 2011 diretto da Yeon Sang-ho che altri non è che il regista di Train To Busan ma anche del suo prequel spinoff Seoul Station, di cui adoro entrambi i film. Seoul Station a me ad esempio era piaciuto moltissimo, per certi versi lo preferisco anche al capostipite.
Comunque sia il Drama coreano fatto con attori in carne d’ossa si differenzia per un bel po’ di cose dal film d’animazione, ma a questo ci arriveremo. Allora di che cosa parla The King of Pigs? C’è questo tizio Kwang Kyung-min interpretato da Kim Dong-wook che praticamente sembrerebbe aver ucciso la moglie; sulla scena del crimine una detective chiamata Kang Jin-ah interpretata da Chae Jung-an trova questo messaggio scritto da Kyung-min in cui praticamente invita un altro detective a fare qualcosa insieme.
Praticamente questo detective che è Jung Jong-seok interpretato da Kim Sung-kyu è in realtà un amico d’infanzia di questo presunto omicida.
Durante le indagini Jong-seok e la detective Kang si rendono conto che questo Kyung-min sta in realtà cercando di compiere una vendetta nei confronti dei bulli che lo hanno tormentato a scuola nel periodo delle medie dove era presente anche Jeong-seok, vecchio compagno di scuola di Kyung-min, anche lui stesso una vittima di questi bulli. Quindi Jong-seok e la detective cercano di fermare Kyung-min.
Il mistero si infittisce quando si scopre che in realtà a lottare coi bulli c’era una terza persona, un terzo ragazzino che sembra essere la causa che ha scatenato la vendetta di Kyung-min e parrebbe essere il motivo per cui lui stia tirando dentro il vecchio amico Jong-seok e questa in breve è la trama di The King of Pigs.
La serie ha una narrazione parallela; abbiamo da una parte il presente in cui c’è l’indagine e c’è Kyung-min che va a vendicarsi dei bulli ormai adulti, e la narrazione del periodo delle medie in cui vediamo Jong-seok e Kyung-min subire le angherie di questi nulli.
Bullismo in Corea del Sud
Qui innanzitutto va contestualizzata una cosa. Qui in Italia o qui in Occidente, evidentemente la parola bullismo non so quanto renda effettivamente. In Corea del Sud come in altri paesi asiatici, il bullismo è un annoso problema. Il bullismo mostrato in questa serie come in altre, es. “Non si siamo più vivi”, “The Glory” e via discorrendo, non è il bullismo che magari si può immaginare un italiano.
Parliamo di forti aggressioni non solo verbali ma anche fisiche, persino di abusi sessuali, al punto da portare anche ragazzi al suicidio. Non è che da noi non ci siano queste cose però non sono sicuro che il termine bullismo da noi renda l’idea, perché succede che alcuni italiani guardando queste trovino esagerate le violenze mostrate. Non credo affatto che siano esagerate.
Il Drama live action rispetto al film d’animazione modifica molto il contesto; ne cambia la struttura trasformandolo da thriller psicologico, quale è il film d’animazione, ad un thriller vendicativo. Quindi qui nella serie ci sono personaggi che fanno mestieri differenti per una mera funzione narrativa.
La vendetta in The King of Pigs
Perciò c’è questo elemento della vendetta contro le persone ormai adulte che nel passato hanno compiuto questi feroci atti di bullismo cambiando completamente la vita della vittima o delle vittime. In alcuni aspetti ricorda anche quell’altra serie bellissima che è la già succitata The Glory, presente su Netflix. A tal proposito The King of Pigs che io sappia non è mai arrivata da noi.
Come dicevo poc’anzi, la serie rispetto al film d’animazione rimuove alcune parti oniriche che sarebbero state troppo assurde per una serie live action.
Anche se mantiene qualcosa in quel senso. Aggiunge anche dei personaggi funzionali alla narrazione e in molti concetti risulta differente. La cosa che mi ha stupito è che il personaggio scelto per il personaggio di Jong-seok ha una sagoma identica a quella del film d’animazione.
Comunque sia questa è una serie pazzesca capace di sorprendere ad ogni episodio. La serie come ho detto è incentrata sulla vendetta, quindi c’è questo cliché del “oggi il bersaglio è lui“, “poi c’è lui”, quindi tu in un primo momento sei convinto che la formula sia questa e invece… Io non voglio spoilerare ma quando lui va dai primi due bersagli a colpirli, tu ti aspetti che poi ci saranno gli altri bersagli ancora peggiori dei primi.
In realtà i bersagli che vediamo all’inizio sono i peggiori! E i flashback su questi primi bersagli anche dopo essere stati “espletati” nella parte adulta, noi continueremo a vedere i flashback da bambini quando questi bersagli continuano a bullizzare i nostri due protagonisti sfortunati; Jong-seok e Kyung-min, e perciò nonostante nella narrazione adulta i bulli, i peggiori, vengano puniti, noi continuiamo a vederli nella narrazione in cui sono ragazzini delle medie continuando a vederli mentre bullizzano i nostri protagonisti!
E questa cosa è pazzesca perché prima veniamo soddisfatti dalla vendetta, perché la serie ti colpisce nel profondo a vedere queste persone tormentate da questi bulli in quella maniera, quindi si ottiene soddisfazione a vedere Kyung-min vendicarsi con una vendetta spietata. Ma poi continuando a vedere gli episodi e guardandoli continuare a fare i bulli nei flashback delle medie è come se la vendetta del presenta non abbia cancellato nulla… come nella realtà!
Se per fare un esempio tu uccidi uno che ti ha fatto del male in passato, ciò non cancellerà quello che ti ha fatto in passato, e la serie dà proprio questa sensazione. Lui si vendica, ma quelle cose che ha subito sono ancora lì in loop nei suoi traumi.
Regia e messa in scena
La regia di Kim dae-jin è pazzesca ogni episodio crea uno stato adrenalinico sia nel passato che nel presente. gli attacchi dei Bulli e le risse sono messe in scena da manuale. Poi c’è la colonna sonora che mantiene la tensione a 1000. Ogni episodio mette un hype pazzesco per vedere l’episodio successivo.
Non è solo la vendetta, c’è qualcosa in fondo più grande tra i due protagonisti e la musica, mamma mia, in certi momenti è da brividi! Gli attori sono stati bravissimi, i bambini pazzeschi. In particolare quelli dei due bulli principali e di Jong-seok e Cheol. Le parti in cui vediamo le angherie dei bulli sono proprio crude!
Soprattutto perché Vediamo quanto pesa ai protagonisti questa situazione e quanto invece a questi bulli vada tutto per il meglio. Anche da adulti hanno vissuto come se niente fosse. Anzi hanno messo su famiglia e sono tutti tranquilli! Quindi manco a dire il karma… e invece le vittime dei bulli sono rimaste segnate per sempre, vanno dagli psicologi, hanno problemi in famiglia, hanno problemi nel lavoro.
Quindi la serie ti trasmette un senso di frustrazione e una voglia di vedere Vendetta. Insomma questo The King of Pigs è veramente una bomba, recuperalo subito e ti consiglio anche di vedere il film d’animazione.
Però ti consiglio di guardare prima la serie, perché secondo me ha dei colpi di scena pazzeschi.
Oltretutto, io trovo la serie molto più bella del film d’animazione (sicuramente mi avrà influenzato aver visto prima il drama, però io sinceramente lo reputo superiore al film di Yeon Sang-ho), e questo Drama entra di diritto tra le serie che ho adorato di più.
Differenze col film d’animazione
Potrei dire altre mille cose ma non voglio spoilerare una webserie quasi perfetta… quasi, perché c’era un punto in un episodio che non mi aveva convinto e che poi dopo aver guardato il film d’animazione ho compreso perché non mi tornava nella serie; sarebbe il punto in cui la polizia va a scuola a cercare Cheul…
È la scena in cui va all’obitorio con la madre, che secondo me nel drama ha poco senso per come è stata messa in scena, ed ho capito perché quando ho visto il film d’animazione! Avendo gli autori del drama cambiato delle cose, quella scena nel nel film d’animazione ha senso, nel drama penso proprio di no.
Per questo articolo è tutto, recuperati The King of Pigs perché è pazzesca, non credere neanche per un istante che queste serie valgano di meno di molte serie televisive americane. Anzi non fare l’errore che fanno molti di snobbarle e veditela. Poi se ti va lascia un commento sotto questo articolo per farmi sapere cosa ne pensi.
Oggi è uscito il capitolo 100 di Dragon Ball Super a colori, ricordiamo disponibile alla lettura online (quindi in scan) in maniera gratuita sull’applicazione MangaPlus in lingua inglese (quindi niente scan ita, ma solo scan eng).
Ma non è del capitolo 100 di cui voglio parlare in questo articolo, anzi, facciamo un passo indietro, torniamo al mese scorso, quando è uscito il capitolo 99!
Dragon Ball Super: Capitolo 99
Il capitolo 99 di Dragon Ball Super adatta la parte finale del film Dragon Ball Super: Super Hero, per inciso il momento in cui Gohan carica il colpo finale e si trasforma in Gohan Beast, mentre piccolo prende un sacco di botte da Cell Max; il 99 diciamolo pure è un capitolo che si legge tranquillamente, adatta una parte che in tutta sincerità già nel film trovavo un po’ pomposa.
Un esempio di atto finale di film d’animazione che non apprezzo molto. Toyotaro allunga un po’ il brodo come ha sempre fatto in questa saga, potrei dire che questo e i 2 capitoli precedenti avrebbero potuto tranquillamente starci in uno… Ma cos’è che mi aspettavo da questo capitolo, o meglio, qual era la mia speranza?
Per chi mi segue su Youtube dove pubblico video come Il Recensore Delirante, ricorderà che ne abbiamo parlato moltissime volte io e DEllO nelle live (a proposito domani sera saremo in live per parlare del 100° capitolo!), e cioè che speravamo di vedere una spiegazione alla trasformazione di Gohan e possibilmente anche a quella di Piccolo.
Spiegazioni, spiegazioni everywhere!
La spiegazione di Piccolo come tristemente sappiamo, non l’abbiamo avuta neanche nel manga, e in questo capitolo fa il debutto la trasformazione di Gohan Beast… Questa sorta di Super Saiyan 2, coi capelli che un po’ ricordano la fase della trasformazione del terzo livello nell’atto della trasformazione (insomma quando non avviene in un microsecondo), però i capelli del Beast sono bianchi, in più ci sono altre piccole differenze.
La forma dei capelli è quella che abbiamo visto durante il Cell game quindi il primo Super Saiyan 2 che abbiamo visto! Purtroppo questa cosa di non spiegare le trasformazioni è un andazzo che Dragon Ball Super ha preso all’incirca dall’arco di Black nell’anime. Precisamente da quando Trunks si trasformò in quella specie di Super Saiyan 2 con l’aura del Blue (?), trasformazione denominata Ikari (o Rage), insomma dell’Ira.
Trasformazione che poi non abbiamo visto invece nella controparte cartacea, e che non ebbe alcuna spiegazione nell’anime; da lì in poi il patatrac, perché và detto, prima di allora le trasformazioni erano sempre state spiegate, a prescindere che possano piacere o meno. Ad esempio il Super Saiyan God è stato spiegato! A me non piace la genesi del Super Saiyan God, proprio l’idea di base non l’apprezzo, però la spiegazione c’è.
Quando le Trasformazioni ce le spiegavano!
Anche il Super Saiyan Blue ne La resurrezione di ‘F’ o nella controparte animata è stato spiegato a suo modo. Possiamo tutto sommato dire lo stesso per Golden Freezer… ci sta (…nzomma) perché comunque Freezer è un alieno con abilità trasformanti (fa ridere a proposito che questo si scelga i colori da solo!).
In ogni caso, il punto è che prima venivano spiegate, poi ad un certo punto è cominciato questo andazzo dove alcune trasformazioni non hanno uno straccio di spiegazione o di minimo accenno intuitivo. E così è stato anche per Orange Piccolo e Gohan Beast nel film Super Hero, ed adesso anche nel manga. Peccato io mi aspettavo che Toyotaro le spiegasse un po’;
Sappiamo che il drago in seguito alla modifica di Dende ha risvegliato i loro poteri sopiti con tanto di bonus, ok… Però perché Piccolo / Junior diventa arancione così??? Perché Gohan assume questa forma e c’ha i capelli bianchi??? Niente, non lo sapremo mai, i tempi in cui Toyotaro aggiungeva le spiegazioni nel manga per rendere più chiari alcuni papocchi dell’anime sono forse finiti? (al di là di tutte le critiche che gli si possono e si DEVONO fare, non si può negare che a volte abbia “corretto” o riadattato in maniera più dragonballiana delle cose).
Ma ora voglio la vostra opinione ditemi cosa avete pensato di questo capitolo 99 di Dragon Ball Super, se l’avete letto e cosa ne pensate di quello che ho detto io. Vi sta bene che Gohan Beast non sia stato spiegato neanche nel manga? O anche voi avreste preferito una minima spiegazione come il sottoscritto? Fatemi sapere e Commentate. Ed inoltre ditemi la vostra anche sul capitolo 100, o partecipate alla live domani sera!
Ballerina, un film dalle premesse molto interessanti…
Salve internauta, bentornato sul blog del Recensore Delirante! In questo articolo ti parlo di Ballerina; un film coreano del 2023 realizzato per essere distribuito direttamente sulla piattaforma di Netflix e diretto da Lee Chung-Hyeon. No tranquillo, stavolta non si tratta di una recensione di film pacco come L’esorcista del papa.
Trama di Ballerina
La storia parla di Ok-Ju interpretata da Jun Jong-Seo, una ragazza che fa di mestiere la Bodyguard e che capiamo subito dalla sequenza di introduzione che è una ragazza molto sola e infelice. Ok-Ju riceve una chiamata dalla sua migliore amica e scopre che si è suicidata; questa sua amica le lascia un biglietto di addio in cui praticamente le chiede di vendicarla, con un indizio su coloro che l’hanno portata al gesto estremo.
Ok-Ju che per mestiere ha una grande abilità sia nelle armi che nelle arti marziali, si mette alla ricerca di coloro che l’hanno portata a questo gesto. Lei tramite questo indizio rintraccia questo ragazzo e seguendolo arriva alla sua mansione, scoprendo nella sua casa che questo qui praticamente droga le ragazze e poi le violenta dopo averle filmate, ricattandole successivamente per sottoporsi a questi, diciamo pure “snuff movie”, con la minaccia di diffondere questi video agli amici e ai familiari, rischiando di distruggere la vita di queste ragazze.
Ok-Ju capisce che la sua amica Min-Hee ha preferito suicidarsi piuttosto che continuare a rimanere schiava di questo tizio, che ha il nome di Choi. Ok-Ju quindi fa in modo che questo Choi l’adeschi per portarla nel sopra menzionato hotel in cui questi tizi drogano le ragazze e le filmano, allo scopo di ucciderli tutti e vendicare la sua amica!
Succede tuttavia che all’interno di questo hotel, la protagonista scopra che Choi e gli altri sono in realtà dei membri di una gang malavitosa, quindi fugge dopo aver salvato un’altra ragazza che era all’interno di questo hotel e dopo che la stessa ragazza ha salvato la nostra Ok-Ju. E quindi inizia praticamente una battaglia tra lei, questo Choi e anche i membri di questa organizzazione. Questa era la trama di Ballerina.
Jun Jong-Seo
Allora prima di partire con l’analisi, ti debbo prima di che… Io adoro Jun Jong-Seo! Si tratta di quella giovane attrice coreana che ha recitato nel bellissimo “Burning – L’amore brucia” di Lee Chang-dong, che è anche il regista di altri filmoni come Poetry e Peppermint Candy. Però Jun Jong-Seo si è vista anche nel film The Call al quale ci arriveremo tra un po’, ma anche nel film americano “Monalisa and the Blood Moon”;
La regia di Ballerina
Lee Chung-hyeon che è il regista di Ballerina, aveva anche diretto per l’appunto The Call, che attenzione non è il The Call di Takashi Miike, ma trattasi di un film più recente. Il The Call di Hyeon è un thriller ad alta tensione che a me è piaciuto molto, benché non sia un capolavoro, però a mio dire è un ottimo film del suo genere. Lee Chang-dong dirige modestamente anche questo film Ballerina; è un film che nel finale mi è piaciuto abbastanza.
Però devo dire che rispetto alle premesse non mi ha convinto del tutto o meglio mi sarei aspettato di più. Il regista dirige modestamente, il film scorre ha anche buone coreografie e nel finale posso dire di averlo apprezzato.
Premesse ottime, sviluppi modesti
Tuttavia devo devo dire che rispetto alle premesse mi sarei aspettato un po’ di più nel senso che il film verso i 30-40 minuti giù di lì insomma, quando Ok-Ju arriva nell’hotel in cui ci sono questi tizi che filmano le ragazze ed inizia a lottare contro Choi, succede che qui secondo me il film fa il passo più lungo della gamba, cioè iniziano questi combattimenti che secondo me meritavano un approfondimento in più.
Ad esempio anche la vita di Ok-Ju prima di conoscere Min-Hee. Infatti ci sono questi flashback tra lei e l’amica in cui praticamente lei la reincontra dopo tanti anni, neanche la riconosce. Ok-Ju è infelice fino a quando la reincontra. Inizia Infatti tra loro una frequentazione. E questa amicizia inizia a consolidarsi; Ok-Ju è come se trova una ragione di vivere nel reincontrarla.
Se lo sviluppo tra le due ragazze è molto riuscito, ciò che manca secondo me è uno sviluppo di Ok-Ju prima di incontrare l’amica. Cioè mi riferisco al lavoro di Ok-Ju perché il film ti fa capire che lei è brava a dare i cazzotti e i calci nella sequenza iniziale del film però non ci fa capire bene che lavoro faceva. C’è giusto un accenno.
La Liceale senza nome e le Armi
Poi c’è anche questa liceale che lei salva in questo hotel (che poi in realtà è la liceale che salva lei, almeno in un primo momento!) e di questa liceale si sa poco e niente, se non sbaglio non non è riportato neanche il nome nei crediti… mi è sembrata un po’ tirata via la cosa.Anche se io credo che sia in parte voluto il fatto che di questa liceale non si sappia niente. È interessante che Ok-Ju trova nel difendere questa liceale un altro motivo per vivere dopo che ha perso l’amica.
Una scena che mi è piaciuta molto è quella dell’acquisto delle Armi. Quando arrivano questi vecchi in questa zona desertica che le vendono una varietà di armi per lo più vecchie malandate, le viene mostrato questo lanciafiamme, e c’è questa scena a distanza che è veramente efficace, e lì io ho pensato “Ok questa è un’arma che userà alla fine la protagonista, per forza!” ma non sto qui a spoilerare.
Conclusioni finali
È particolare la scena in cui lei scopre il motivo per cui la sua amica si è suicidata, perché lei aveva trovato in questa sua amica la ragione per continuare a vivere. C’è una scena in cui lei fa intendere che avrebbe voluto mettere fine alla sua vita perché era infelice era sola e quindi è per lei straziante che proprio Min-Hee che era la sua luce si è tolta la vita.
Insomma In conclusione non è un capolavoro, ma Ballerina È comunque un film di tutto rispetto che certo non mi ha convinto del tutto in alcuni punti e rispetto alle premesse mi sarei aspettato di più. Certamente non posso definirlo un film memorabile quindi consiglio di recuperare questo Action Revenge Movie.
Alcune settimane fa mi è capitato di guardare per puro caso un trailer di un film che sulla carta assolutamente non mi interessava, ma appena vidi il trailer mi decisi a voler guardare questo film, ma per i motivi sbagliati. Il film in questione è L’esorcista del Papa.
Il film del 2023L’esorcista del Papa (The Pope’s Exorcist) di Julius Avery, uscito solo i pochi mesi fa al cinema, è tratto dalla figura di Gabriele Amorth che qui è interpretato da Russell Crowe… (non è che si somigliano proprio tanto eh!)
Comunque sia io non amo molto i film su possessioni esorcismi. Infatti persino “L’esorcista” di William Friedkin del 1973, pur essendo un capolavoro e pur dandone atto, non è mai entrato nelle mie grazie! Non è un film che mi viene voglia di riguardare proprio perché è un genere che non amo questo.
Quindi succede che io per caso guardo questo trailer già sicuro che non mi sarei interessato al film e però guardandolo non riesco a smettere di ridere, perché capisco già da subito che sarebbe stato un film involontariamente comico e che si sarebbe preso sul serio tantissimo. Quindi attesi che uscisse sulle piattaforme (col cavolo che andavo al cinema a finanziare questa roba!).
L’esorcista del Papa o L’esorciccio?
Devo dire che il film mantiene tutte le aspettative del trailer. Il film dato che tratta del Vaticano nonché di una persona italiana, ha anche delle parti ambientate a Roma; qui arriva la parte divertente perché padre Amorth interpretato, come ho già detto da Russell Crowe, gira per le strade in… Vespa!
È vero che questo film è ambientato alla fine degli anni 80, ma gli americani devono evidentemente avere una percezione dell’Italia antiquata, arcaica completamente.
Cioè mi ha ricordato un po’ un momento di Boris, l’episodio dove praticamente girano una scena degli “Occhi del cuore” in Africa, ovviamente però non vanno a girare in Africa ma allestiscono un set, e l’Africa è rappresentata come una tendopoli, viene quindi spiegato che “facciamo la scena così perché è così che se la immaginano gli italiani!”, e quindi ho pensato che il regista di questo film L’esorcista del Papa abbia fatto lo stesso ragionamento: “facciamo l’Italia così perché è così che se la immaginano gli americani!”
Una cosa bizzarra del film è il titolo perché si chiama L’esorcista del Papa cioè qualcosa che fa intendere che lui vada ad esorcizzare il papa stesso. In realtà lui è L’esorcista del papa nel senso che è l’esorcista prediletto del papa, che tra l’altro è interpretato da Franco Nero, qui con la sua vera voce. Credo sia in presa diretta, ma alcune scene sono doppiate da se stesso.
E insomma lui per conto del Papa va a fare un esorcismo in Spagna, e non dico qui le scene scopiazzate ovviamente da L’esorcista, con questo bambino che c’ha la voce demoniaca. La cosa che mi ha fatto ridere è che in alcune sequenze durante la possessione il demone inizia a dare di matto e ci sono questi tagli che spuntano sui muri tipo artigli e addirittura ad un certo punto c’è la madre del bambino posseduto che viene assorbita dal letto.
Da Padre Amorth a Freddy Krueger!
Cioè sono scene che sembrano uscite paro paro da “Nightmare” in particolare il primo Nightmare. La recitazione di Russell Crowe è proprio caricata a mille e Questo l’avevo notato anche dal trailer, e secondo me il doppiaggio italiano di Luca Ward lo ha caricato ancora di più perché c’ha questa voce molto impostata.
Il film è pieno di trashate incredibili, ma si prende incredibilmente sul serio. Poi ci sono delle scene assurde in queste catacombe che io sinceramente ho qualche dubbio che siano tratte 1:1 dai libri di Gabriele Amorth; ho qualche dubbio, ma non lo so!
Ma la cosa divertente è il finale perché praticamente loro dopo essere riusciti ad esorcizzare questo demone che possedeva il bambino che era Asmodeo, scoprono che per il mondo ci sono ancora centinaia di demoni potenti come questo Asmodeo, e che padre Amorth ed un altro prete che lo ha aiutato nel corso del film, devono andare a sconfiggerli!
Cioè il film ha questo finale che si apre quindi ai sequel proprio da saga cinematografica action! Questa cosa fa molto ridere e io mi chiedo ma veramente faranno una saga cinematografica con questo che va a fare gli esorcismi?
L’esorcista del papa è un film di possessioni che secondo me ha battuto la barriera del trash! Consiglio se siete un po’ masochisti come lo sono io di guardarlo, perché fa ridere, ma per i motivi sbagliati (ed io non ci ho visto del trash voluto, anzi mi sembra che il film si prenda molto sul serio!).
Inventing Anna: Da come si è capito dal titolo, in questo articolo intendo parlare e fare una analisi (o recensione) di Inventing Anna, una miniserie realizzata nel 2022 e composta da nove episodi. Una serie Netflix molto interessante basata su fatti realmente accaduti e realmente interessanti, che ho riguardato con piacere in un periodo recente, ma con cui continuo ad avere un problema col finale.
Inventing è una webserie ideata da Shonda Rhimes, quella di Grey’s Anatomy, un’autrice che quanto a uccidere i propri personaggi nelle maniere più crudeli e ridicole possibili potrebbe dare lezioni a George Martin, e chi ha seguito Grey’s Anatomy fino all’undicesima stagione sa di cosa sto parlando!
TRAMA DI INVENTING ANNA
Allora Inveting Anna è basata su una storia vera anche molto recente. La serie però si prende alcune libertà e tra l’altro lo mette sempre per iscritto in ogni episodio. È una serie che già la prima volta che l’avevo vista mi era piaciuta abbastanza, mi aveva affascinato, però come detto in introduzione, ha un finale che ogni volta mi lascia perplesso, ma ci arriveremo, ci arriveremo!
La storia parla di questa Vivian Kent (ispirata alla giornalista Jessica Pressler) che è una giornalista che in passato aveva commesso un madornale errore giornalistico e che adesso sta scrivendo un articolo su una presunta ereditiera tedesca, che è questa Anna Delvey.
L’inchiesta di Vivian mette in luce che questa Anna Delvey, il quale in realtà si chiama Anna Sorokin(a), non è in realtà un’ereditiera tedesca ma bensì un’abile truffatrice che è riuscita ad infiltrarsi in un mondo di persone altolocate facendo credere di essere una persona ricchissima.
La giornalista Vivian Kent è interpretata da tale Anna Chlumsky… Chi sarà mai?? Guardatela attentamente, scommetto che l’avete già vista!
Sì esatto, la bambina di “Papà ho trovato un amico” (My girl)!
Anna Delvey invece è interpretata da Julia Garner e della sua recitazione ne parleremo più tardi. Vivian mette sù questa inchiesta su Anna Delvey che nel frattempo è stata arrestata e si trova in galera perché su di lei pendono delle gravissime accuse di truffa, così Vivian la va a trovare in galera ed inizia a ricostruire tutto il percorso di Anna che l’ha portata fin lì. Perciò tra Anna e Vivian inizia uno strano rapporto…
Vivian è colpita dal fatto che Anna anche in galera si comporti come una persona altolocata nonostante ormai sia venuto fuori che lei non è chi dice di essere e continua a recitare anche lì il suo personaggio.
Quindi vediamo tutti i movimenti di Anna; come sono iniziate le sue conoscenze, come ad esempio con questo guru dell’auto-miglioramento o con questi tizi possessori di catene di abbigliamento di altissimo livello o con questa tizia, Rachel, che lavora per Vanity Fair, e così via!
ANNA DELVEY ED ALTRE SOLE!
Una cosa che mi è piaciuta della serie è il come hanno intersecato all’interno delle altre truffe che hanno sconvolto l’America, come ad esempio quella del Fyre Festival, non so se avete mai saputo questa storia di questo evento musicale che si doveva tenere su un’isola privata con centinaia migliaia di persone.
Quando poi tutte le persone sono arrivate lì, gli organizzatori dell’evento non avevano preparato niente, ed erano completamente impreparati, pertanto le persone sono rimaste lì sulla strada.
Se vi può interessare su Netflix c’è il docufilm “Fyre – La più grande festa mai avvenuta”, guardatela perché è molto interessante.
Un aspetto molto riuscito di Inventing Anna è l’interpretazione di Julia Garner su Anna Delvey; la parlata della Garner è veramente pazzesca soprattutto con quell’accento quasi “britannico” (da nobili). Ovviamente sto parlando della versione in lingua originale (inglese), io doppiata in italiano non l’ho mai vista, però avevo switchato ogni tanto e mi sembra che comunque abbiano fatto uno sforzo per mantenerlo. In ogni caso in originale è veramente pazzesca.
IL SOGNO AMERICANO DI ANNA SOROKIN
Un altro aspetto che mette in luce la serie è la fissa del sogno americano e di come in certe realtà si giudichino le persone solo attraverso l’apparenza, o meglio, dal loro status apparente, e questo lo vediamo quando Vivian inizia ad intervistare tutte le persone che hanno avuto a che fare con lei e queste sembrano confermare di quanto lei sembrasse una persona affidabile, e sono ancora convinte che le sia un’ereditiera tedesca, ma senza avere alcuna prova per dirlo.
La maggior parte di loro la conoscevano solo da pochissimo tempo, quindi come potevano essere certi che lei fosse chi diceva di essere, soprattutto che fosse una persona affidabile? Qui mi viene in mente per forza di cose una scena de “I Simpson”, la puntata dove c’è il trilione di dollari che viene affidato al Sig. Burns in quanto “persona più ricca della città e quindi affidabile”! È una gag quella dei Simpson, chiaro, ma è una gag che riflette un modo di pensare, o no?
Perciò Anna entra in questo mondo facilmente e quindi si becca le ospitate, persone che si accollano i suoi pagamenti quando vedono che la sua carta di credito magari non funziona per qualche motivo. Lei ovviamente quando questo accade, inventa sempre balle dicendo che il padre le ha tagliato i fondi o che c’è qualche errore con la banca, eccetera eccetera…
E ci sono persone che magari si accollano i suoi pagamenti senza poterselo permettere, solo perché si fidano dell’apparenza perché l’hanno vista al ristorante a ordinare cose costosissime, l’hanno vista anche offrire agli altri- Lei era anche solita fare regali, tipo a questa Rachel o a Neff, quest’altra amica che non è ricca ma si offre di pagarle un conto quando la sua carta non funziona.
LA VETRINA DI ANNA DELVEY
Perché tanto vedendo Anna indossare abiti firmati, girare in auto di lusso, alloggiare in hotel a 5 stelle, tutti elementi che portano i protagonisti di questa vicenda a fidarsi di lei, ad affidarle il proprio denaro, finché anche alcuni finanzieri o banchieri finiscono per crederle e ad affidarle prestiti di grandissime somme di denaro.
éer certi versi la storia di questa serie mi ha ricordato un caso italiano, quello di Fuffancella, “do you know?” non siamo a quei livelli, lì era tutt’altra cosa il discorso, però anche lì gente che affidava anche decine di migliaia di euro ad un tizio, ad un tale solo perché l’aveva visto in TV, perché girava con certe persone, per l’abbigliamento, per lo stile di vita apparente, e c’è una scena della serie che per certi versi racconta questa cosa.
Neff questa ragazza di colore che è diventata amica con Anna perché lei lavora in un albergo in cui proprio Anna alloggia, ad un certo punto mentre sono in un ristorante di lusso, le carte di credito di Anna non funzionano perché Anna non c’ha soldi. Quindi lo staff del ristorante sta per allertare le autorità, allora Neff nonostante lei non disponga di molti soldi decide di pagare per Anna convintissima che Anna in realtà abbia solo avuto un problema con le carte di credito, ed i soldi ce li abbia e glieli restituirà, tanto lei è ricchissima.
Parlando con il suo ragazzo, le racconta che Anna c’ha un sacco di soldi ed il suo ragazzo la mette in allerta dicendole “Io credo che i ricchi ti mostrano i soldi quando ti vogliono distrarre da qualcos’altro!”, infatti questo secondo me è l’intero concetto di Inventing Anna. Anna Delvey è solo una vetrina la gente di quel livello la fa entrare nel proprio mondo solo perché abbocca alla sua vetrina
Ma poi il personaggio di Anna rappresenta quel tipo di persone ossessionate dal lusso e dal denaro. Persone che hanno un problema con la propria autostima, Anna Infatti non solo finge con gli altri ma anche con se stessa, lei è come se si convincesse delle sue stesse fregnacce, tant’è che continua a recitare quel ruolo anche in prigione!
FINALE DI INVENTING ANNA
Quindi passiamo alla fine: ed ecco cos’è che non mi piace! Allora farò ovviamente degli spoiler, per quanto si possa parlare di spoiler, dato che stiamo parlando di una storia vera. Nell’ultimo episodio vediamo la conclusione del processo per cui Anna è imputata, i capi d’accusa sono diversi, lì viene condannata per diversi capi d’accusa, ma viene assolta per il caso di Rachel.
Rachel è una donna che come Nef aveva pagato un suo conto salatissimo, di più di 60.000 dollari, in un lussosissimo albergo in Marocco, sempre perché ad Anna non funzionavano le carte di credito ed il personale minacciava di trattenere sia Anna che Rachel. A quel punto Rachel molto spaventata utilizza la propria carta di credito, anzi utilizza la carta di credito per la società per cui lavora.
Che cosa succede quindi? Viene fuori che Rachel è colei che ha fatto arrestare Anna alla fine, collaborando con la procura ed inoltre ha scritto un articolo per la società per cui lavora, più un libro sulle vicende con Anna. Quindi traendone un beneficio che le permetterà anche di ripagarsi i debiti che ha contratto per colpa di Anna. Ok, quando si scoprono queste cose Rachel passa da essere una vittima ad essere una colpevole perché ne ha tratto beneficio! Perché ha tradito un’amica facendola arrestare e via dicendo…
Io sinceramente non riesco a capirla questa cosa nell’ottica della serie. Perché per quanto questa Rachel fosse una persona un po’ snob, un po’ opportunista, si è trovata in guai serissimi per colpa di Anna e ha fatto le uniche cose che poteva per togliersi dai guai. Invece no! Il messaggio che passa è che lei ha fatto la vittima ed è addirittura peggiore di Anna, tant’è che qui arriva la cosa assurda:
Quando Anna viene assolta dal reato di truffa per l’addebito sulla carta di credito di Rachel, poiché nessuno aveva obbligato Rachel a pagare per Anna, e fin qui ci siamo, succede che durante l’assoluzione vediamo Vivian e Kacy (la tizia del fitness che era amica sia di Anna che di Rachel) che inizialmente aiutava a Rachel, e persino i collaboratori del giornale di Vivian, esultare quando viene assolta Anna per questo capo di accusa! Tutti ad esultare “Evvai”, “Sì!”.
Ma è assurdo perché innanzitutto Vivian e soprattutto i collaboratori del giornale non erano dalla parte di Anna, loro stanno solo lavorando ad un’inchiesta, ma addirittura si vedono Neff, ma soprattutto Kacy, che sono contente dell’assoluzione mentre guardano Rachel come a dire “Schiatta maledetta!”.
È una scena assurda perché Anna Sorokin viene glorificata in questa parte finale, va bene che ha messo nel sacco delle persone che guardano solo all’apparenza, persone magari dal giudizio frivolo, sono quelle storie che a molti fanno ridere perché sono state truffate persone ricche. Però io dico in questa parte la serie assolve Anna. Pare che ci siano state polemiche anche nella realtà per questa cosa di Rachel, sembrerebbe oltretutto che la serie abbia raccontato cose anche non vere.
Però a prescindere da questo la Rachel rappresentata nella serie mi è stata mostrata come vittima e poi è diventata all’improvviso la cattiva, e questa è diciamo l’unica cosa della serie che non mi fa impazzire, ma per il resto è una serie molto affascinante, è una serie anche che ci racconta e che racconta l’America soprattutto!
Io insomma Inventing Anna la consiglio, ripeto peccato per il finale!
The Good Mothers: La serie che vorrei trattare nel seguente articolo è “The Good Mothers – Le donne che hanno sfidato la ‘ndrangheta”, quindi se nell’ultimo ho parlato di un drama coreano, vale a dire Celebrity, stavolta tratterò uno sceneggiato semi-nostrano.
È una serie presente sulla piattaforma Disney Plus che l’ha anche prodotta, diretta da Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, tratta dal romanzo di Alex Perry. Di seguito ecco la mia analisi e recensione di questa webserie.
La prima cosa che mi ha incuriosito di questa serie è il fatto che parlasse di ‘ndrangheta, perché in Italia almeno, per l’impressione che ho avuto io, di produzioni che parlano di ‘ndrangheta, o che comunque ne parlano in questa maniera, non ce ne sono poi molte, o almeno a me è capitato di vederne davvero poche.
La trama di The Good Mothers
La serie di The Good Mothers tratta di queste donne adolescenti o giovani madri che, vivendo in un ambiente ‘ndranghetista, quindi mafioso, sono condannate ad una vita di segregazione, di mancanza di libertà, di regole maschiliste e completamente chiuse, per non dire troglodite, che le condannano quindi ad un’esistenza infernale.
Le storie sono tutte tratte da vicende realmente accadute, benché comunque la serie si sia presa alcune libertà, inventando qualche personaggio qui e lì.
La storia parla di questa Lea, interpretata da Micaela Ramazzotti, questa donna che un giorno prende la figlia e fugge via dalla famiglia per entrare nel programma di protezione testimoni della polizia, ovviamente testimoniando contro la propria famiglia!
Dopo anni che Lea è stata via in questo programma di protezione testimoni in luoghi lontani e isolati, decide di tornare dalla propria famiglia, quindi di smettere di essere una testimone e di tornare in Calabria insieme ai propri familiari, perché quella vita isolata non riusciva più a sopportarla.
Era sempre sola, si sentiva abbandonata, la figlia viveva malissimo, ed anche lei, in più la famiglia ‘ndranghetista, il marito, la madre, la suocera, tutti gli altri componenti familiari cercano di convincerla che l’hanno perdonata, che loro sono cambiati, che la rivogliono in famiglia e così via…
Puoi visionare anche la video-recensione su Youtube: clicca qui!
Questo porta Lea a cedere, e a ritornare un giorno in Calabria con la figlia; il giorno stesso che questo avviene, la madre viene separata dalla figlia e scompare… Ovviamente è stata uccisa dalla ‘Ndrangheta! Allo stesso modo vediamo altre due famiglie in cui, anche qui, delle mogli di ‘ndranghetisti sono costrette a questa vita orribile in cui vengono completamente vessate.
Se si mettono un po’ di rossetto vengono prese a botte, se provano anche solo a rispondere agli uomini, questi le prendono la testa e gliela scaraventano nel piatto davanti a tutti, umiliandole! Insomma costrette ad una vita terribile.
Allora, c’è questo magistrato, Anna Colace, interpretata da Barbara Chichiarelli, che sarebbe la Livia di “Suburra – La serie”, la sorella di Aureliano.
Praticamente la Colace individua una di queste donne e la convince ad entrare nel programma di protezione testimoni per farla testimoniare dato che lei svolge un grandissimo ruolo all’interno di questa cosca mafiosa.
La storia di Giuseppina Pesce
Insomma questa donna che si chiama Giuseppina Pesce (davvero esistente nella realtà!) inizia così il programma di protezione testimoni; inizia a parlare e partono dalle autorità i vari arresti contro la sua famiglia che ovviamente vorrebbe ucciderla immediatamente. Ella finisce in questa casa protetta lontano portandosi i figli, qui però inizia ad avere i primi problemi, infatti in questo posto sono completamente isolati.
Soffrono la solitudine, si sentono abbandonati, le giornate sono tutte uguali. I figli soprattutto soffrono terribilmente la mancanza di tutti gli altri parenti e oltretutto n on sono minimamente in grado di capire quale sia la situazione e cosa abbia portato la madre a prendere questa decisione.
Ma questa cosa tra l’altro l’ho sentita spesso dire da veri testimoni in alcune interviste in TV, in cui praticamente spiegavano che durante il programma di protezione testimoni si sentivano completamente abbandonati dallo stato, oltre a vivere malissimo la situazione perché vivevano soli in posti sperduti e spesso venivano spostati, quindi dovevano sempre ripartire da zero.
Questo è proprio il tipo di narrativa che The Good Mothers ci racconta e che infatti preferisco maggiormente!
La famiglia ‘ndranghetista di questa Giuseppina sta subendo gli arresti, loro ritengono oltraggioso quello che lei ha fatto (peraltro ancor prima aveva anche un amante perché il rapporto con suo marito non esisteva, ed oltretutto era pure in galera!). Che cosa fanno allora i familiari?
Trovano il modo di contattare la figlia adolescente, che è anch’essa nel programma di protezione testimoni, e fanno un lavoro di convincimento in modo tale che la figlia adolescente porti la madre a tornare indietro, facendo leva sul fatto che loro la perdoneranno e si dimenticheranno di tutto, quindi anche questa Giuseppina come Lea rischia di fare questo passo indietro che potrebbe portarla alla morte.
Una cosa particolarmente riuscita di questa serie innanzitutto, è il contesto dell’ambientazione e del dialogato che è molto realistico, si parla quasi sempre in dialetto calabrese.
Mi è piaciuta molto l’interpretazione di Valentina Bellè nel ruolo di Giuseppina, perché lei c’ha questa parlata particolare, lenta un po’ strana, che però in questo contesto funziona e rende il tutto realistico.
È un personaggio che vuole uscire da quell’ambiente, ma in qualche modo le sue ossa sono fatte da esso, quindi si ritrova sempre in bilico! Un altro aspetto molto riuscito di The Good Mothers, un aspetto che forse reputo decisamente superiore ad un “Gomorra” o un “Romanzo Criminale – La serie”, è il fatto che i mafiosi, gli ‘ndranghetisti, non vengano esaltati come personaggi da ammirare o con cui simpatizzare, anzi la sensazione è esattamente l’opposta!
Si rimane sempre schifati da questi uomini orribili completamente trogloditi, ed ancora peggio sono le suocere, le nonne, le sorelle, che sono completamente assoggettate a questo ambiente, non perché hanno paura, ma perché sono anch’esse plagiate da quel sistema.
Apologia mafiosa
Una delle altre vicende è quella di Denise (Gaia Girace) che praticamente è quella che ha perso la madre, Lea. Denise capisce subito che la madre è stata uccisa, non ci crede alle cavolate che le dicono il padre e gli altri parenti, ossia che la madre ha preso e se n’è andata così…
Quindi noi vediamo il padre che cerca in tutti i modi di portare la figlia a sé, per trasformarla in una di loro mettendole vicino questo ragazzo, Carmine; tra lei e Carmine ci sono diverse interazioni, si instaura dunque un legame tra i due finché però la vicenda porterà ad una rivelazione tragica, che purtroppo è anche reale.
The Good Mothers – Le donne che hanno sfidato la ‘ndrangheta, è uscita pochi mesi fa ed è una co-produzione italo-britannica, ma devo dire che è molto “italiana”, ma nel senso positivo (non certo in quello di Stanis La Rochelle!), non ho mai percepito scene o narrazioni fuori dagli schemi italiani, anzi. Tutto è sempre contestualizzato nel nostro mood, diciamo così.
La serie è composta da 6 episodi da un’ora ciascuno, come ho detto è disponibile su Disney Plus, io la consiglio davvero, è forse una delle migliori serie che tratta il genere mafia, spero ti sia piaciuta la mia recensione, Il Recensore Delirante ti saluta!